venerdì 31 agosto 2007

Cambia-menti

Non sono stato in vacanza tutto questo tempo.
Solo per tre giorni sono andato via.
E' stato un mese molto duro.

Il 21 Luglio ho visto mia figlia dopo due anni.
E' stato un incontro drammatico.
Già sapevo sarebbe stato delicato;
ha peggiorato le cose la decisione dello psicologo
- non comunicatami in tempo utile -
di farci incontrare in una stanza attrezzata
come quelle della polizia, col vetro-specchio
(di là c'era la madre e la consulente di parte).
E' stato davvero molto triste.
Mi chiedo come si possa giungere
ad una trovata così squallida
in ambito relazionale.
Giacché, non lo dimentico, è sempre mia figlia.

Ecco una delle cose che dovremmo cambiare:
tutto questo ciarpame burocratico-giuridico-psicologico
intorno alle relazioni primarie.
Cominciamo a rispettare la vita, l'umano, la sua essenza relazionale.

Rispettiamo i legami.

Ma cerchiamo di capire quanto
in ognuno di noi c'è la distruzione del legame,
la difficoltà a costruirne.

Prima che il mondo
dobbiamo cambiare il nostro cielo interno.

Ma dobbiamo anche denunciare, e fermamente
gli abusi e i soprusi.

In fondo, mi sono mosso (magari a volta un pò goffamente)
per assicurare il diritto di mia figlia ad avere un padre
e per reclamare i miei diritti naturali.

Una cosa è certa.
Questo paese deve prendere presto delle decisioni importanti.
Scegliere tra il distruggere e il costruire,
tra l'odio e l'amore,
tra la cultura della morte e quella della vita.

Cambia-menti

sabato 14 luglio 2007

La seguente lettera di Padre Alex Zanotelli
riguarda la Campania
ma il problema riguarda tutti noi.
A Palermo in particolare c'è molto allarme
per la decisione presa dal governatore Cuffaro
- e avallata da Prodi! (boh, non ci si capisce più nulla!) -
di costruire proprio a ridosso della città
un mega inceneritore
produttore di diossina, tra le altre sostanze nocive.
L'invito di Alex Zanotelli è dunque valido
ben al di là del contesto campano.
Ho paura


Ho paura, ho una grande paura, ho sempre più paura che il problema dei rifiuti in Campania continui ad essere affrontato sull’onda emotiva dell’emergenza, la cui risoluzione, o presunta tale, risulta sempre più influenzata da aspetti di natura economico-finanziaria. Risolvere l’emergenza sì, ma senza pregiudicare il nostro futuro e il diritto delle generazioni future, senza far credere che gli inceneritori possano rappresentare la panacea di tutti i mali. Apriamo dunque, ma subito, con le istituzioni un grande dibattito, non si tollerino più scelte che possano pregiudicare definitivamente il territorio campano, costituendo, dal punto di vista sanitario-ambientale, un punto di non ritorno.
Voglio essere più esplicito e provo a spiegarmi meglio. Se si ritiene che il problema della spazzatura in strada e delle balle disseminate sul territorio campano possa risolversi con la realizzazione degli inceneritori, magari mutuando il modello emiliano o quello di Brescia, aree che registrano il più alto tasso di malati di cancro in Europa, a pari merito soltanto con la Ruhr; allora bisogna reagire, mobilitarsi, così come fu fatto due anni fa per fronteggiare le speculazioni sull’acqua. Ma proprio memore di questa esperienza, vorrei provare ad interloquire con chi in questo momento è titolare del potere di decidere. Bisogna dire, e ad alta voce, quello che stanno dicendo da mesi in convegni, seminari, congressi in tutta Europa i più famosi chimici e medici di provata autonomia ed indipendenza dal potere politico ed economico. Evitiamo un'altra catastrofe ambientale e sanitaria come quella dell’amianto, quando già dagli anni sessanta si sapeva che conteneva sostanze cancerogene. Diciamo chiaramente che l’unica possibilità per risolvere il problema rifiuti in Campania è la differenziata, ma una vera differenziata, associata a processi biologici “a freddo” di smaltimento quali la biossidazione; una raccolta differenziata, intesa quale fonte di risparmio energetico, va anche intesa quale risorsa per l’occupazione giovanile.
Bisogna che tutta la cittadinanza sappia, ed è un suo sacrosanto diritto, che tutti gli impianti di smaltimento a caldo quali gli inceneritori e i gassificatori sono estremamente dannosi per l’ambiente e per la salute delle popolazioni esposte direttamente ma anche indirettamente tramite la catena alimentare. Da almeno un decennio, infatti, è noto che nei territori in cui sono presenti gli inceneritori il tasso di diossine e metalli pesanti nei latticini e nei grassi animali ed in molti tessuti umani, con particolare riferimento a neonati e feti, è molto più alto che in popolazioni non esposte. Ma ancora più grave è quanto la letteratura scientifica più recente ha dimostrato, ovvero che gli inceneritori sono tra i massimi produttori di nanoparticolato, sostanza che penetra direttamente nelle vie aeree inferiori e negli alveoli polmonari, passa rapidamente nel sangue, penetra all’interno delle cellule e del nucleo, danneggiando il cervello e lo stesso DNA.
Dobbiamo dunque evitare una vera catastrofe ambientale ed è per questo che io imploro le istituzioni responsabili ad organizzare un incontro aperto, durante il quale tutta la cittadinanza sia messa in condizione di sapere quali sono le conseguenze dello smaltimento dei rifiuti attraverso gli inceneritori. Possiamo ancora evitare una possibile imminente catastrofe sanitaria ed ambientale, ma il tempo è ormai agli sgoccioli; credo in uno scatto di orgoglio e di responsabilità da parte del nostro Governatore.

Padre Alex Zanotelli
la Repubblica, Edizione di Napoli
12 novembre 2006
Canto funebre
per l’ennesimo morto ammazzato
in terra di Sicilia





Cosa pensava.
Della vita.
Mi chiedo della vita, in quel momento,
cosa lo attraversava
come lo attraversava
quest’uomo sconosciuto
- l’ennesimo disceso nel vallone -
precipitato.

Me ne parla stamane
un uomo conosciuto ieri sera
e che già sento amico
di Lercara
Friddi, “vicino Vicari…”. Mai stato.
“… e poi Roccapalumbo…”
(e mi ricorda Pasqua, dove corrono
per i saluti la Madonna gli angeli i santi...).

Mi aveva chiesto Scusi dov’è il Malox?
ieri sera
lungo il Cassaro, tornando io
dalla mia processione solitaria
appresso al carro-barca ancora spento
ancora disadorno del festino
(nella penombra un’illuminazione).
Poi lo ritrovo lì
in cerca di parole, in compagnia
dell’acqua minerale

e quella campanella ininterrotta
dimenticato allarme del comune
ora Seppe lo sa cosa diceva.

Nulla parla del tutto.
Nulla tace del tutto.

Chissà cosa pensava quel ragazzo
morto ammazzato,
quindi senza morte
senza morte, espropriato
di chi saprà mai più quale pensiero,
che punto del respiro fulminato.

“All’alba, mentre coglieva fieno…
sembra fossero incappucciati”.

Dunni nun si simina
crisci la mala erba.


Sicilia, campo
santo
pieno
di luce
di grano.

Pretendono molto qui gli dèì,
dove molti son nati
ed i mortali
sprovveduti
versano offerte all’ultimo momento.

Gettano il sangue.
Dunni nun si simina
crisci la mala erba.


Sprecano il tempo
spezzano l’ostia del sole,
con la spiga in filigrana
con la luce dell’alba.

Ora c’è un'altra anima assettata.

Siate pietosi
dite una preghiera
leggete, seminate questo seme
presso il campo,
nell’ora della luce della morte.

Era soltanto un uomo, uno dei tanti.
Ognuno è uno dei tanti.

Chissà cosa pensava
della vita.

A siminari, cogghi.
E un ti scurdari,
scippa la gramigna.

Amen.



Daniele Moretto
Palermo, 12 Luglio 2007
Il trionfo della morte

Inevitabile parlare di morte guardando Palermo in queste ore; in questi giorni in cui si sente il suo alito fetido, e il disperato batter d’ali dell’illusione; dopo mesi di folla e follia elettorale - mai campagna fu più calpetasta, arrembaggio più irragionevole e volgare, da volgo senza limiti e senza popolo, altro che vocazione civica!
Due notti prima delle votazioni, avevo il risultato: sognavo che Orlando diceva “Mi muore la città tra le mani”. Per due giorni ho negato la premonizione. La domenica mattina si vociferava di un testa a testa; ancora un batter d’ali... Ma ora dopo ora vedevo (e fingevo non vedere) l’avanzare della morte. Diciamoci la verità.
1. Ricordate le regionali del 2001? Ricordate la lettera di Orlando sui giornali per chiedere voti a destra e a sinistra poiché sarebbe stato il presidente di tutti? Sono convinto che un’altra lettera andasse scritta, ma da sindaco in carica: “Cittadini, ho deciso di non correre per la Regione, non mi dimetto, resto al mio posto fino alla scadenza del mandato; tra cinque anni, tornerò per governare la città”. Un gesto simile avrebbe assicurato a Orlando la vittoria a queste comunali (ed evitato il disastroso anno di Serio). Il popolo ha buona memoria e poi Orlando per il popolo è ‘u sinnacu. Ma la delega vale solamente entro le mura: dev’essere il loro principe, e gli saran devoti come alla Santuzza.
2. Ebbene, il fedele, feudale popolo di Palermo sa che negli ultimi cinque anni Orlando non c’è stato; che non ha fatto opposizione alla Regione, come aveva promesso.
3. La denuncia dei brogli, tutt’altro che patetica, riscatta in parte Orlando ma non lo riabilita agli occhi del popolo, che sarebbe sceso in piazza a protestare se non si fosse sentito tradito già da tempo. Anche con l’ immobilismo e le ambiguità dopo la rielezione del ’97, con l’occhio troppo fuori dalle mura.
Diciamoci la verità: i voti a Orlando erano soprattutto voti contro un sindaco presente nella vita cittadina in modo spettro-manifesto. Se la città è ora ridotta così male, se è divenuta abulica, è un po’ anche colpa di Orlando – egli ha messo il filo della speranza nella cruna dell’ago ma ha smesso a un certo punto di cucire. Ciò non toglie che le associazioni e i cittadini siano responsabili della mancata resistenza contro le brutture e le storture.
E il centro-sinistra? Come si è comportato in questi anni? Per esempio rispetto alla corsa di Rita Borsellino. E ieri, chi sono i quattro franchi tiratori contro la Siragusa? Adesso, per ridare vita alla città, chi dirà e chi farà? Chi segnalerà i soprusi, le lungaggini, le trame in consiglio comunale? Chi chiederà conto dei soldi spesi e come? Chi parlerà a nome della città assillata dai problemi, sporca, negletta?
E i cittadini? Chi sentirà di dover manifestare - in piazza e in ogni dove - il disgusto, la stanchezza, ma anche il desiderio di una città vivibile? Chi condurrà iniziative e lotte non-violente, per esempio contro la privatizzazione dell’acqua, per esempio per avere i bus gratuiti e così combattere traffico e vari inquinamenti? Chi scriverà ai vario uffici per pretendere i servizi? Chi reclamerà la presenza dei 600 vigili urbani (su circa 2000!) destinati alla strada (cioè al traffico, ai mercati, al decoro della città)? Chi dirà però direttamente a un motociclista di non invadere i marciapiedi, peraltro così malridotti? Chi segnalerà la vergogna dell’area dell’inCuria in via Maqueda, subito dopo via Sant’Agostino? Chi chiederà il rispetto del silenzio, di potere dormire in casa propria, almeno di notte? Chi vorrà che le circoscrizioni funzionino davvero? Chi chiamerà l’AMIA, e chi però prenderà una scopa e un secchio d’acqua per pulire un breve tratto di strada o almeno non getterà il suo sudicio nello spazio collettivo? Chi parlerà e scriverà di quello che ogni giorno si può fare da cittadini per la città, che è un punto della più grande, unica città: il mondo?
Chi affronterà una volta per tutte la mafia come davvero cosa nostra, nostro problema, di tutti noi, tutti complici e collusi se si resta tutti inermi, anche i più illusi di non averci nulla a che fare, ancora di più coloro che pensano sia tutto ineluttabile – quando si andrà alla radice vera del problema? Che il popolo è sovrano, se lo vuole!
Chi proverà rabbia e indignazione vedendo che, per ora, il trionfo non è certo quello della Santuzza (a parte la pochezza del carro del festino)?


14 Luglio 2007
(aggiorno una lettera scritta a Maggio)

martedì 3 luglio 2007

Non impariamo nulla?


Lettera aperta alla scuola
(è dell'anno scorso ma attualissima)


Nel render pubblici solo adesso, dopo oltre sei mesi, questi appunti, ritengo sia stato un errore non farlo prima. La scuola ha bisogno di ogni tipo di contributo alla sua vitalità.


Al telefono un’amica, alla quale confido il mio disagio, mi risponde: “La scuola è così”. Così, come? Ognuno di noi lo sa, lo vede. Troppe cose non vanno, ma non se ne parla, non si affrontano i problemi. E la scuola va sempre peggio. Se la scuola è “così”, non è più scuola.

La scuola è degli studenti e per gli studenti; ma è fatta dagli insegnanti. Non è un lavoro come un altro, questo. Non si può andare per lo stipendio. I docenti sono un po’ agricoltori (semina e raccolto), un po’ al-levatori, al-levatrici: aiutano a far nascere (coscienza e conoscenza). La leva è la domanda. Il verbo chiave è: crescere. Non greggi di pecoroni (esecutori di ordini) ma classi-organismi in cui ogni individuo è unico e democraticamente uguale agli altri.

Utopia? O la possibile risultanza di secolari insegnamenti?

Insegnare, già. Un lavoro arduo eppure nobile. La nobiltà stessa della vita, la sua sacralità.
In tal senso, insegnare è sacerdozio, letteralmente “far cosa sacra”. Sacro è il cosmo “cum tucte le sue creature”. Insegnare è faticoso, ma la fatica più grande è stare in questa rete bucata dai rapporti inautentici, i cui fili si tengono per forza, dove l’egoismo è debolezza endemica. Pochissimi pensano ai ragazzi.
Vedo l’apatia e, poi, la pretesa di aver vivacità in classe da “loro” (ne parlano come fossero i nemici e ti mettono sull’avviso: stai attento, non ti fidare – il che vuol dire non dare fiducia, non instaurare rapporti umani. Triste.).
Vedo menefreghismo e calcolo, e la pretesa poi di avere impegno. I ragazzi guardano. Vedono anch’essi furbizia e squallore umano, regole scritte ma non osservate da chi le pretende, docenti che arrivano con mezz’ora di ritardo, supplenze che sono buchi, a volte solo firmate. Vedo C.d.C. con troppi assenti, ritardatari (salvo poi imputare agli altri il ritardo!). Vedo persone, il cui verbo dovrebbe essere “collaborare”, per ore ed ore su una sedia; non so come non gli scoppi il cuore per l’inedia, e a volte mi pare che stia per scoppiare, come un pallone che si riempie di polvere. Che vive a fare, uno/a così? Vedo gente che fuma in Presidenza, in Segreteria, nei corridoi, come se nulla fosse; colleghi - ai quali chiedo “Per favore, sai, è per le regole” - che continuano a fumare e quando mi vedono mi allisciano, mi prendono con le buone, come i bambini, poi dopo un po’ non mi salutano più, e mi guardano con l’espressione di chi pensa: “Che rompiscatole”!

Gli alunni hanno le loro belle responsabilità. Vedo i mozziconi di sigaretta infilate nelle porte dei bagni (!), vedo le porte delle aule scassate dai pugni, vedo altre cicche da secoli negli interstizi del tappetino all’ingresso di via Pascoli perché tutti fumano davanti alla porta… se un cane avesse l’idea di accoccolarsi là (ma nessun cane l’avrà), la nicotina lo farebbe fuori in mezz’ora.
Il plesso di via Pascoli vive d’inerzia da mesi, non vi è nessuna spinta, nessuno stimolo vitale. Personalmente, sono stanco e avvilito. In cambio del mio impegno e del mio desiderio di regole, ho ricevuto da troppa gente troppe mortificazioni. Il Preside non è più venuto, innumerevoli impegni, ma intanto… Fisicamente, il plesso già non è uno sballo. Ma si potrebbe rendere più accogliente, no? All’ingresso, faccio un esempio, quelle poltroncine rosse sgangherate. E le pareti color cacca rancida? E il cortile-palestra con la rete tutta sbrindellata? E i gabbiotti dei bidelli di non so che anno? Non c’è una pianta, non c’è un quadro… tranne quello dei ragazzi diversabili. Più veri, più sereni, spesso più educati e più educ-abili. E ai quali dobbiamo coscienza e allegria.
Le aule. Abbiamo dato almeno una rinfrescata al primo piano (da soli, i ragazzi e due-tre docenti ma forse è stato meglio così); non ci sono attaccapanni, armadietti; i banchi e le cattedre si aprono; possiamo essere abbastanza sicuri solo del gesso. Non ci sono cartine geografiche, tanto meno storiche, non ci sono strumenti di classe, dizionari e altri sussidi, TV… figuriamoci il PC di classe! Eppure trascorriamo molte ore qui, e sappiamo che un buon ambiente favorisce l’apprendimento.
Vedo, ad ogni campanella, intere classi nei corridoi: ogni 50 minuti una ricreazione. Alunni che si azzuffano, che urlano. Spesso esco per chiedere silenzio e vedo costantemente classi scoperte, con gli alunni che non fanno nulla, stanno davanti alle porte inermi, insignificanti, mi ricordano un po’ le vecchìne davanti alle porte delle case dei paesi.
Molti ragazzi non sanno leggere, scrivono male, specie quelli di Carini, ma tutto il territorio è povero di stimoli.

Qui ha dominato il latifondo, cioè i ricchi proprietari terrieri che hanno sfruttato i contadini e fatto credere loro che era tutto giusto così, poi sono diventati i borghesi di Palermo, e hanno stretto la mano alla mafia, se non addirittura baciato… ed ora? Beh, la bomba l’hanno messa a Capaci, a due passi, mica a Como (ovviamente anche Como ha le sue brave… magagne, lo diceva già il Manzoni!).
Da qualche parte lo sanno, i ragazzi, però non si fanno domande, anche perché nessuno dice loro che non è vero che le risposte non ci sono. Nessuno dice loro che si comincia dalle piccole cose, dalle piccole regole di ogni giorno, e che le regole sono tali quando sono condivise e rispettate da tutti. Questa è la legalità, o no?
Nessuno dice loro che bisogna curare, tutti, le cose di tutti, che il collettivo diventi coscienza, a cominciare dall’aula, dal banco, dai propri quaderni, dal proprio spazio interiore. Il metodo di studio è la ricerca di un ordine che non è nevrosi ma armonia, tende all’ordine cosmico, un organismo che è come il corpo, e di cui la classe, la scuola, la società, può essere specchio. Un organismo in cui, come nella lingua, le parti del discorso interagiscono.
Nessuno glielo dice perché la società va in frantumi e c’è chi vuole che ciò avvenga, che il popolo consumi, che spenda tutto quello che guadagna nei luoghi dove i padroni gli ri-succhiano di nuovo tutto. In tali condizioni i genitori sono spesso già abbastanza frustrati per poter educare i figli.

E a scuola? Nessuno dice nulla ai giovani perché il corpo docente è un corpo malato.
E’ affetto da un mal-essere che la politica non sa e non può curare, perché anche la politica è malata. Organismi deboli, infetti, non possono aiutarsi; anche perché la prima qualità che perdono è la più importante: la reciprocità. E la comunità si disgrega. E’ in atto la metastasi e forse è un bene, è la cosa migliore se questa scuola, se questa società muore: solo così forse può rinascere!

Intanto, però, la scuola non comprende, ed attua meccanismi inconsci, primitivi. Per esempio, il meccanismo vittimario (v. Girard): il capro espiatorio, che è in buona sostanza un atto di vigliaccheria collettiva.
E tuttavia, non dobbiamo cedere alla cultura della morte; al contrario, dobbiamo seguire la vita perché, nonostante tutti i morbi, siamo vivi, ed abbiamo anzi il compito e il dovere di difendere l’energia vitale.
Vedo ragazzi che stanno male – lo vedo perché ridono troppo o non ridono mai o prima ridevano e ora non ridono più, è successo qualcosa a casa… Ne ho sentite di storie, ne ho lette nei temi in cui a volte per la prima volta si aprono. Loro capiscono chi sono e sanno quello che penso, glielo dico in classe, o lo capiscono nei cerchi. A volte ci si parla cogli occhi, e il cuore si sente solo da vicino, o nel silenzio.
Vedo Consigli di Classe con troppi sguardi ai polsi. Vedo Collegi Docenti in cui una persona parla per mezz’ora e poi altre cento, in pochi minuti, spesso senza discutere, decidono cose importanti per la vita della scuola.

Vedo tutto questo e mi chiedo: ma non abbiamo imparato nulla?
Nulla ci hanno insegnato i tanti maestri, e mi vengono in mente adesso, così, alcuni nomi Dewey, Piaget, Dante, Manzoni, Danilo Dolci, Socrate, Platone e Giordano Bruno e Einstein e Rilke e Buddha e Gandhi e Gesù di Nazareth…
Non ci hanno insegnato nulla? O siamo noi che non impariamo? E i mille maestri di tutti i giorni, e i volti, e gli sguardi, i segni e le innumerevoli esperienze di vita? Dico vita e non morte, la morte non porta esperienze, la morte cancella le esperienze.
Che se ne fanno, gli esseri umani, di tutti questi semi?

La scuola è degli studenti, per gli studenti…
E noi, da loro, da chi ci assicura il lavoro e ci dà l’opportunità di crescere, sì, noi insegnanti, dai ragazzi, che dovremmo e potremmo ascoltare ogni giorno, non impariamo nulla?
Daniele Moretto
Palermo, Marzo/Maggio 2006
ISTITUTO ALBERGHIERO
"UGO MURSIA"
CARINI (PA)

Gentili, gentilissimi, crudeli
(Lettera distribuita a scuola)


Quel che ho visto e vissuto negli ultimi due anni nel sistema-scuola mi conferma come esso vada progressivamente perdendo sempre più uno dei sensi fondamentali dell’uomo, quello della naturalezza.
Costruire scuole-carceri, in cui i docenti siano secondini (e secondari). Non fare uscire i ragazzi per via delle autorizzazioni - non sono richieste per nascere vivere morire. Disporre i banchi così che gli alunni per anni non si guardino negli occhi; abituarli a un’incessante competizione, a una perpetua mancanza di dialogo. Organizzare la scuola pubblica democratica con un criterio da pollaio col gallo dirigente il galletto segretario gallettini e chiocce a beccar dai progetti - e tutti gli altri? Polli! che si becchino tra loro, ma quale didattica quale inter-disciplinarietà che firmino il registro e redigano verbali preconfezionati e moduli della più illogica inattendibilità.
Tutto ciò è innaturale!
Uccidere ogni giorno la vita, abbrutirsi per idiozie, vivere in omili da vigliacchi, recludere la vitalità, la bellezza. Questo è innaturale.

Impedire ai nostri figli
di essere amati e di amare
di crescere sereni
nella pienezza della vita e delle relazioni
fra tutte le creature,
è innaturale ed è immorale.

Interrompere relazioni, in questo sono esperti gli hollow men e le hollow women. Tra padri e figli, come tra docenti e alunni, magari con un fax (!) come ha fatto il dott. Bacaloni Provveditore di Firenze, figlio del clinetelismo e dello zelo, che è figlio (mitologicamente) dell’odio. Questo è innaturale.
Permettere che il delicato lavoro di un insegnante sia poi turbato dal delirio persecutorio di un genitore (di cui non faccio il nome per rispetto alla figlia), senza opporgli alcuna resistenza e anzi mettere l’insegnante di fatto sotto processo, questo è innaturale e profondamente scorretto. Dare a tale delirante individuo informazioni riservate e schifosamente diffamanti (contenute in quel fax), come ha fatto il Dott. Di Stefano, Direttore del Distretto Scolastico Regionale, violando ogni privacy, questo è delittuoso (egli già mi deve delle scuse dal 1999 quando di fronte al mio lutto per la perdita di mio padre durante gli esami di maturità si comportò indegnamente).
Accanirsi con un insegnante a partire dalla sua dolorosa vicenda di padre, come ha fatto questo genitore, ciò è ignobile. Infine, portare a scuola i propri figli e non riconoscere, da parte di molti genitori, il ruolo di educatore dell’insegnante, questo è quantomeno contraddittorio.
Camminano sul dolore, e non chiederanno scusa, mai, i carnefici.

Il bilancio del mio anno scolastico, nonostante tutto ciò, è positivo.
In II/A, dopo aver armonizzato una classe (si può fare) almeno in parte, a causa della turbativa di cui sopra, ho tirato fuori ben nove ragazzi dall’insufficienza, ma soprattutto dalle loro paure, dal loro senso di inadeguatezza, dalla sfiducia nei propri mezzi. E ho cercato di insegnare a tutti, anche a quelli bravi che andar d’accordo con sé stessi aiuta a incontrare gli altri e che il dialogo con gli altri fa stare meglio con sé stessi.

Nelle classi in cui ho fatto supplenza, tante, ho dimenticato le tristezze e le nigrezze, scoprendo ragazzi straordinari che hanno gradito quelle che posso definire le mie lezioni di gioia, in cui anche loro erano maestri. Molti mi hanno chiesto di essere il loro insegnante e questo vale più di ogni altro premio. I ragazzi sanno bene chi è vecchio e chi è “nuovo”.

Lo sanno benissimo i ragazzi della I/A, coi quali ho vissuto un anno indimenticabile nonostante ci vedessimo solo quattro ore. E’ stato, nel complesso, un vero e proprio innamoramento, e l’amore dà sempre i suoi frutti. In un certo senso abbiamo allargato i muri della scuola, aperto la didattica della Storia fino al Teatro. Avrei voluto che l’intera classe facesse questa esperienza, conclusasi in modo trionfale, ma per quanto mi riguarda tutta la classe ne è l’artefice e la depositaria.

prof. Daniele Moretto
2 Luglio 2007

Lettera aperta al Presidente della Repubblica

LETTERA APERTA

(già inviata)
al

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Giorgio Napolitano


Lo Stato vuole distruggere o costruire?


Signor Presidente,


la vita immette gli esseri umani nella sua grande rete, in cui tutto è collegato; un poeta disegna con le parole-immagini quella rete; un insegnante consapevole contribuisce a far comprendere ai futuri cittadini i collegamenti, Danilo Dolci direbbe i nessi. E’ una visione poetica, diciamo pure cosmica della vita, che non è detto sia di ogni insegnante, ma è certamente della nostra tradizione culturale.

Come che sia, ogni insegnante espleta un compito direttamente connesso al dettato costituzionale, di cui è, non può non essere, diretto interprete ed attuatore. Come tale, ogni insegnante va tutelato contro qualsiasi attacco che, ipso facto, è da ritenersi un attentato alla Costituzione.
Sono convinto, Signor Presidente, che inquadrare la questione della scuola e la figura docente a partire da questa prospettiva costituzionale può solo far bene all’Italia. Un paese che non ha affatto completato il lavoro di ricostruzione morale e culturale e che ha, proprio per questo motivo, adesso, enormi problemi strutturali.
Il sistema giuridico-burocratico, che regola il funzionamento dello Stato, è diffusamente patogeno. Vi si sviluppano - e sono poi immesse ed ammesse nella società - insopportabili prevaricazioni, forme persecutorie e vessatorie, mobbing. In breve, spinte distruttive, prevalentemente di origine inconscia. (Ma può lo Stato essere regolato dall’inconscio?).
E distruttive al massime sono le pulsioni nell’ambito delle relazioni primarie. I figli sono ormai armi nelle mani (quasi sempre) delle madri. Le quali uccidono e sono impunite, straziano e sono impunite, inducono all’odio verso i padri e sono impunite. Hanno anzi tutto lo Stato a disposizione, ma perché mai? mi sono chiesto per anni, finché ho capito. Per l’empatia con un sistema che si poggia sulla mortificazione e sull’odio, di cui è figlio lo zelo.
Signor Presidente, da poeta non posso chiudere gli occhi. Se il tessuto sociale della nazione è ridotto a brandelli non è a causa del vento di maestrale, ma perché molti funzionari dello Stato sono i primi a lucrare, omettere, vessare, idest minare, tradendolo, quello Stato che dovrebbero servire e tutelare.
Ma sanno di essere impuniti, di potersi servire dello stesso apparato che essi offendono, per difendersi. E intanto gli onesti sono vituperati, i volenterosi ostacolati, gli innovatori mortificati. E, come diceva Fortini, i padri sono derisi.
Nonostante il dolore di veder sparire mia figlia – un rapimento a tutti gli effetti “legalizzato” dallo Stato italiano il quale si è divertito per mano di certi cani poliziotti e di certi ingiustissimi magistrati ad accanirsi su di me e su mia figlia, cosa di cui lo Stato italiano mi deve prima o poi dar conto – nonostante ciò, ho dato il meglio delle mie conoscenze e delle mie esperienze alla scuola, cosa che tutti i miei alunni possono tranquillamente testimoniare e che, fors’anche a denti stretti, colleghi e dirigenti non possono negare.
Forse solo quest’anno, e specificamente nella IIª/A della S.M.S. “A. Gentili” di Palermo non ho dato il meglio di me stesso, poiché l’odio isterico, adesso, si è infiltrato anche nella mia vita professionale e – complice un alto funzionario scolastico – l’accanimento ha invaso l’anima vuota di un genitore delirante. Non ho praticamente avuto pace, né posso dire di essere stato tutelato dalla struttura per la quale lavoro, tutt’altro… E nonostante ciò ho attuato certamente la Costituzione, che è anzi stata la mia àncora e la mia bussola.
Ora, con tale cumulo di amarezze, non so fino a quando potrò andare avanti.
Perciò, Signor Presidente, conto di poter presto conferire con Lei.


Molto cordialmente,
Daniele Moretto
Palermo, 2 Luglio 2007

martedì 26 giugno 2007

Apertura naturale

Salve,

benvenuti nel mio blog, creato appena dieci minuti fa.

Ho tante cosa da dire. Ne ho il dovere e il diritto.

Ma innanzitutto: perché "LEGGI D'ESSERE"? Che significa?

E' venuto un po' da sé, mentre pensavo a come rendere in una battuta molte cose:

- il richiamo all'Essere supremo, che possiamo chiamare Dio o Cosmo o Tutto, che tutti ci contiene;

- al verbo "essere" e al fatto che per essere esseri umani bisogna innanzitutto essere;

- al fatto necessario che, per essere umani in un mondo umano, dobbiamo essere capaci di fare delle buone leggi, che seguano i cambiamenti della società, i cambiamenti che fanno parte della natura umana più ancora che della Storia, leggi dell'essere, dunque, anzi degli esseri;

- ma "leggi" è anche voce del verbo leggere, e allora l'espressione "leggi d'essere" diventa un'esortazione: leggi, cioè vedi in te l'essere, cerca, interrogati, comprendi.

Abbiamo necessità di recuperare questa radice ontica, poiché il problema che affligge l'umanità è proprio il vuoto interiore. (Eliot parlava degli "hollow men", io aggiungo le "hollow women").

Il vuoto interiore, la miseria etica e spirituale non hanno classi sociali, anzi, si direbbe che più in alto si va peggio si sta.

Chi sono oggi i Capi di molti Stati? Dei guerrafondai, dei criminali che hanno ormai genocidi sulla coscienza. Ma poiché sono vuoti, che senza ha parlare di coscienza? Il problema è che le azioni degli uomini vuoti svuotano il mondo di senso, pace, di ben-essere.

Già, non si pensa alle parole, ecco perché io poeti sono importanti. Si dimentica che la parola benessere contenga essere, che è concetto così poco economico, almeno secondo l'economia come la si intende oggi. Cioè: profitto.
La gente è diventata, apparentemente, molto scaltra, nella società occidentalizzata. Tutti si sanno fare i conti, ma... sempre più gente sta male. E il mondo è diseguale, ingiusto, afflitto da mal-essere.

Sempre più mi rendo conto di una cosa: che anche coloro che dovrebbero avere le risposte non le hanno. Che lo scadimento del nostro vivere è appunto il senso di qualcosa andato a male, avariato.
Per esempio, stamattina a scuola, nel corso di una riunione che doveva sviscerare i problemi, mi sono reso conto per l'ennesima volta che gli insegnanti non sanno nulla, non hanno risposte, dico rispetto agli alunni. Si sono fatti mangiare il cervello dalle pseudo-teorie didattiche e hanno perso di vista il cuore del problema, che è per l'appunto il cuore. Hanno dimenticato che la scuola è degli studenti e che essi si aspettano innnazitutto una cosa: essere ascoltati.

Perché senza amore non si fa nulla, tanto meno insegnare.

Mi viene in mente un bellissimo proverbio medievale che trovai appeso in un ufficio a Firenze: "Nulla pote avere cominciamento e fine senza potere, senza volere, senza con amore sapere".



Vale per la scuola, vale per la politica, per l'amministrazione delle città, vale per l'azione individuale di ognuno di noi.



In questo blog, parlerò molto di scuola , perché solamente una scuola che funzioni può dare una nazione che funzioni. E anche per questo ho scelto la mia firma: "Il prof.". Ma soprattutto perché è il mio nick quotidiano a scuola e sono sicuro mi portera fortuna. Perché sono rgoglioso0 di dire che sono molto amato dasi miei alunni.

Racconterò le mie esperienze ma farò anche proposte, non solo critiche.



Parlerò anche, anzi soprattutto come padre (del resto anche l'insegnante è un padre, e i ragazzi lo scrivono nei temi, quando ciò avviene).



La mai vicenda di padre è un odissea che dura da quattrodici anni. Ne ho viste, sentite e vissute di tutti i colori. Ed è attraverso questa esperienza che ho toccato con mano le negkligenze e le nefandezze del sistema giuridico-burocratico italiano. E' attraverso questa odissea che ho capito quanto fosse urgente e importante l'invito di Danilo Dolci a "cambiare le norme".

Invito già fin d'ora a leggere il suo "La struttura maieutica e l'evolverci", La Nuova Italia, 1996.

Più di un capitolo è dedicato per l'appunto alla questione del "nomos" cosmico, all'esigenza di avere, di ritornare a....leggi d'essere.



IL PROF