sabato 1 agosto 2009

All'umanità

Dunque comincia l'esodo
l'esodo da che cosa?
dalla realtà famelica
da lunedì a domenica,
la gente corre e fugge
coi morti sulle spiagge
coi morti di una strage
l'ennesima di Spagna,
ma è tutto il mondo in lutto
addio alla Cory Aquino
cercò di dare power
al people filippino,
il suo grande coraggio
resta nella coscienza
di chi vuole ascoltare
di chi continua a fare
senza fuggire ancora
dalla realtà famelica
che ingoia il cuore e l'anima
- i sentimenti e i sogni -
e che dopo ogni pasto
è ancora più affamata
- la gente più affannata
la gente addormentata
e sta bene così
alla gente famelica
che si divora il mondo
e mangia senza fondo.
Svegliati, umana gente!
riattiva la tua mente
rigenera il tuo sangue
non fartelo succhiare
dai sordidi vampiri
dalle zecche, dai furbi
da ogni cosa ti turbi,
perché turbarti vogliono
per darti ansia e paura
e indurti a consumare
a spendere i tuoi soldi
altro sangue versare
per sentirti appagato
mentre hai solo pagato
riempiendo il portafoglio
dei figli dell'orgoglio - brutta Bestia -
di chi separa il mondo - lo fa a pezzi
per farne dei bocconi
più facili a ingoiarsi
e tu sia ancor più debole
divisa e separata
confusa e spaventata
incapace di vivere
la tua naturalezza
la semplice carezza della vita.

Daniele Moretto

martedì 2 giugno 2009

Le montagne servono al vento
2 Giugno. Festa della Repubblica ovvero festa della cosa pubblica. Ma che cosa condividono oggi gli italiani.
Ci sarebbero le tradizioni sane, la vera cultura millenaria, legata alla terra, alla natura. Alla radice della quale si condivide tutto con il mondo intero.
Perché il mondo è uno. Non vi ha diseganto alcun confine la natura. Le montagne servono a fare il vento. I mari sono abitazioni di creature innumerovoli, portatori di leggi e colori dalle superfici agli abissi. E ci donano il blu, le fantasie, il senso immenso del viaggio. Uno dei trentasette sensi.
Il mare ciporta il senso della vastità, è il nostro specchio immenso.
E' meno triste festeggiare oggi la nostra pochezza di ex-emigranti dimentichi della nostra miseria che ora è miserabilità, è meno triste stasera, dopo aver visto, (è finito poco fa) "Deserto d'acqua" di Emilio Ajovalasit al teatro Libero di Palermo. Lo spettacolo è bello e merita altre repliche. L'ho detto subito a Beno Mazzone, ancora tra gli applausi. Lo spettacolo è frutto di un lavoro serio, non solo per lo specifico spettacolo ma di anni spesi (bene) in continui laboratori, e di un sodalizio teatro-vita tra Emilio e Preziosa Salatino, che anch'esso rende in termini di approfondimento veritiero e serio. Lo spettacolo è bello perché reca in sé l'unità, come il mondo. Non che non vi siano difetti, e uno su tutti riguarda il discorso vocale (specie per Emilio). Ma qui c'è appunto una ritrovata antichità che è data dalla profondità, quella stessa del mare.
Con tutta la modernità dello studio, delle trovate, semplici del resto. Bellissima lascena dei vestiti. Un lavoro sull'identità leggiadro e commuovente. Profondità dei gesti. Leggerezza dei gesti. Anche grzie al grande contributo di Clara Burgio, maestra di danza Butho che ci ha regalato in passato brevi chicche e che qui si misura con stile e intelligenza nella corporeità prestata inetramente alla drammaturgia.
Applausi davvero meritati.
Daniele Moretto

venerdì 1 maggio 2009

Si riprende ad uscire...

Salve! Buon I° Maggio a tutti.
Riprendo a pubblicare qui dopo un lasso di tempo
in cui sono stato assorbito, quasi interamente fagocitato dalla scuola.
Mi accorgo che non ho aggiornato il blog neanche sull'iniziativa fondamentale dell'anno,
ovvero le Giornate delle Creature.
Lo farò compiutamente in un post specifico; posso dire ora che la IV edizione è stata molto intensa,specie in apertura (di cui ho scritto) e in chiusura, con la splendida serata alla Chiesa della Gancia grazie al Coro Cum Jubilo del Maestro Scalici, e poi la divertente chiusura con il buffet al Parco Letterario Tomasi di Lampedusa (mai sede improvvisata fu più adatta).
La ciliegina sulla torta è stata la lettura della bellissima poesia Frammenti per le creature (che presto pubblicherò qui) di Lucio Zinna, presente con la moglie Elide alla serata.

FRAMMENTI PER LE CREATURE

allora feci di te comodo esempio ed arzigogolo
(pure era in tempi di risentimento deciso forma
separata di colloquio ogni volta che si movesse
per il capo de todos los tormientos)

ognuna col suo segreto da rivelare come un dono
col suo briciolo di mistero in che siamo impastati
(alcune le rendemmo prigioni per diletto istraziate
per studio et ornamento)

ora tanta se ne possiede – strappatagli nel giro
vorticante d’incalcolabili centurie – da poterlo
oscurare / incidere un basta immane (a ragione
un corvo instancabile ci ha divorato il fegato
comunque inutilmente)

eccola veramente lapidata poi che fu ridotta
(o la più candida fra le mie sorelle) a meretrice
e sarà suo il sangue a scorrere nelle vene del mondo
il giorno in cui

e poiché non offendo m’è dura fatica il perdonare
questo l’oscuro punto il luogo frequente ove riposa
la sconfitta eppure là si muore ad ogni prevaricare
d’orgoglio o dando a usura gli affetti (né vale
liquefarsi nel rimorso se un accadimento imprevisto
ci rapisse un termine preciso di raffronto svelando
il triste gioco) abdicare è già cominciare a morire
deporre la dignitosa veste con la quale in un gesto
può azzerare Kölbe tutti i guasti del mondo

(1985)
LUCIO ZINNA

(Da: “Abbandonare Troia”, Forum Quinta Generazione, Forlì 1986)


Rispetto alla prossima edizione, la V, delle Giornate delle creature, posso dire che ovviamente spero si realizzi; mi piacerebbe dedicarla al tema dei migranti, a mio modo di vedere "il" tema su cui lavorare e a cui ricondurre, in questo momento storico, il discorso artistico.

intanto, continuo a scrivere anche di eventi culturali e artistici che tocchino le corde del cuore e dell'anima. Come l'ultimo lavoro filmico di Miriam Rizzo, che mi ha ispirato la pagina seguente.

Puzzle doble

Impressioni su “Passo uno”, cortometraggio di Miriam Rizzo.
29 aprile 2009 - All’Auditorium Rai di Palermo, la prima del breve ma intensissimo cortometraggio di Miriam Rizzo, “Passo Uno”. Interprete, un Mimmo Cuticchio “caraveggente”. Daniele Ciprì si è imposto, parole sue, il montaggio nonché un back-stage linguisticamente ai limiti del film e che con questo film dialoga non poco, da maestro sul piano stilistico, da “seguace” affettuoso, paterno ma con tatto, su quello tematico. Il back-stage è stato proiettato immediatamente dopo il filmato, e s’è vista la contaminazione e, come dire, la possibilità di una reciproca fecondazione; un po’ come se potessimo vedere la possibilità ricreativa di due compagni di vita, quali del resto i due registi sono anche. Tutto ciò nulla dice - e perciò nulla toglie - della pregnanza delle immagini, e dunque dell’anima della giovane regista. E qui l’anima, direi in senso hillmaniano, c’è eccome.
Il film è un sogno. Un uomo “forse morto, forse vivo” è stato detto più volte durante il dibattito – ma cosa importa? Non siamo forse fatti della stessa materia dei sogni? Non è il terremoto, come ogni cataclisma, un fenomeno che ci riporta al bilico della vita, all’impermanenza, e il cinema non è forse una “finta” permanenza? Cosa c’è di più consistente e inconsistente al tempo stesso delle immagini? – ebbene un uomo o un fantasma si alza dal letto, si lava il viso (primo rito quotidiano) con gestualità ejzensteiniana, sembra quasi apprettare il viso con le immagini mnestiche, non per svegliarlo ma per prepararlo alla luce dell’eventualità. Ed eccolo a camminare claudicante, in bilico, tra le macerie di Poggioreale (Valle del Belice, suscitata alla storia dal sisma del ’68). I passanti sono altre ombre che non vedono e non guardano l’anima che si è levata entro le mura della fin(i)ta realtà. L’uomo ora entra in una chiesa ma in primo piano è una donna orante che sgrana un rosario fosforescente, unico filo di luce nella penombra di un luogo calmo e abissale come un pozzo in cui cadano mille e mille e mille sillabe forse ascoltate forse inascoltate. Voci di bimbi, voci di flauti vergini (vite monche, eros non espresso) nella memoria e nel tempo, chiamano da un’aula della scuola fatiscente. L’uomo sale, cerca, guarda nell’acqua dell’aula – musica intensissima. Mimmo Cuticchio fa qui il suo più bel movimento del capo, la luce è perfetta, Caravaggio appunto (Miriam Rizzo è siracusana), poi si sfrangia repentinamente (un po’ troppo) quando l’aula si rivela vuota, le figure dei bimbi risucchiati dal fiume inarrestabile, per questo semprevivo del tempo. Se non ci fosse il tempo, non ci sarebbe il tempo di morire. L’uomo esce dalla scuola, è disperato, va a cercare uno slargo dove urlare il dolore, apre le braccia crocifisso all’aria, batte le mani sull’asfalto, bussa, vorrebbe scuotere il centro della terra. Il fantasma è divenuto eroe mitico. L’anima siciliana non accetta mai del tutto la morte con la quale parteggia quasi pasteggia nel quotidie. In questo senso è un film della vita, attraverso la morte.
Il back-stage ha invece narrato la meccanica della morte. Quella velocissima cascata di immagini è, ineludibilmente, il filmino che si dice si riavvolga in ognuno di noi in punto di morte: forse è proprio questa intensa emozione “cinematografica”che ci fa esalare l’ultimo respiro. La chiusura del back-stage, la testa di Mimmo Cuticchio interamente ombra che avanza mentre la macchina zumma, è il vero finale del film. In questo senso dico che si tratta di una danza a due e di un doppio mosaico/mistero.
Il titolo: Passo uno, riguarda tecnicamente una modalità di ripresa. Un vezzo, oppure la traccia che in realtà a Miriam Rizzo interessava - più del tema, più del luogo, più del viso di Cuticchio - l'esperienza filmica: sperimentarsi più ancora che alla regia, all’inquadratura che implica la luce e quindi la fotografia. Il film è un doppio incastro (e per questo puzzle) perché è un doppio incontro: con il compagno e con il suo linguaggio.
Daniele Moretto