martedì 3 luglio 2007

Lettera aperta al Presidente della Repubblica

LETTERA APERTA

(già inviata)
al

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Giorgio Napolitano


Lo Stato vuole distruggere o costruire?


Signor Presidente,


la vita immette gli esseri umani nella sua grande rete, in cui tutto è collegato; un poeta disegna con le parole-immagini quella rete; un insegnante consapevole contribuisce a far comprendere ai futuri cittadini i collegamenti, Danilo Dolci direbbe i nessi. E’ una visione poetica, diciamo pure cosmica della vita, che non è detto sia di ogni insegnante, ma è certamente della nostra tradizione culturale.

Come che sia, ogni insegnante espleta un compito direttamente connesso al dettato costituzionale, di cui è, non può non essere, diretto interprete ed attuatore. Come tale, ogni insegnante va tutelato contro qualsiasi attacco che, ipso facto, è da ritenersi un attentato alla Costituzione.
Sono convinto, Signor Presidente, che inquadrare la questione della scuola e la figura docente a partire da questa prospettiva costituzionale può solo far bene all’Italia. Un paese che non ha affatto completato il lavoro di ricostruzione morale e culturale e che ha, proprio per questo motivo, adesso, enormi problemi strutturali.
Il sistema giuridico-burocratico, che regola il funzionamento dello Stato, è diffusamente patogeno. Vi si sviluppano - e sono poi immesse ed ammesse nella società - insopportabili prevaricazioni, forme persecutorie e vessatorie, mobbing. In breve, spinte distruttive, prevalentemente di origine inconscia. (Ma può lo Stato essere regolato dall’inconscio?).
E distruttive al massime sono le pulsioni nell’ambito delle relazioni primarie. I figli sono ormai armi nelle mani (quasi sempre) delle madri. Le quali uccidono e sono impunite, straziano e sono impunite, inducono all’odio verso i padri e sono impunite. Hanno anzi tutto lo Stato a disposizione, ma perché mai? mi sono chiesto per anni, finché ho capito. Per l’empatia con un sistema che si poggia sulla mortificazione e sull’odio, di cui è figlio lo zelo.
Signor Presidente, da poeta non posso chiudere gli occhi. Se il tessuto sociale della nazione è ridotto a brandelli non è a causa del vento di maestrale, ma perché molti funzionari dello Stato sono i primi a lucrare, omettere, vessare, idest minare, tradendolo, quello Stato che dovrebbero servire e tutelare.
Ma sanno di essere impuniti, di potersi servire dello stesso apparato che essi offendono, per difendersi. E intanto gli onesti sono vituperati, i volenterosi ostacolati, gli innovatori mortificati. E, come diceva Fortini, i padri sono derisi.
Nonostante il dolore di veder sparire mia figlia – un rapimento a tutti gli effetti “legalizzato” dallo Stato italiano il quale si è divertito per mano di certi cani poliziotti e di certi ingiustissimi magistrati ad accanirsi su di me e su mia figlia, cosa di cui lo Stato italiano mi deve prima o poi dar conto – nonostante ciò, ho dato il meglio delle mie conoscenze e delle mie esperienze alla scuola, cosa che tutti i miei alunni possono tranquillamente testimoniare e che, fors’anche a denti stretti, colleghi e dirigenti non possono negare.
Forse solo quest’anno, e specificamente nella IIª/A della S.M.S. “A. Gentili” di Palermo non ho dato il meglio di me stesso, poiché l’odio isterico, adesso, si è infiltrato anche nella mia vita professionale e – complice un alto funzionario scolastico – l’accanimento ha invaso l’anima vuota di un genitore delirante. Non ho praticamente avuto pace, né posso dire di essere stato tutelato dalla struttura per la quale lavoro, tutt’altro… E nonostante ciò ho attuato certamente la Costituzione, che è anzi stata la mia àncora e la mia bussola.
Ora, con tale cumulo di amarezze, non so fino a quando potrò andare avanti.
Perciò, Signor Presidente, conto di poter presto conferire con Lei.


Molto cordialmente,
Daniele Moretto
Palermo, 2 Luglio 2007

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